mercoledì 5 giugno 2013

Estratto #4

Lo squillo del telefono avvisò Mario che Carlos stava arrivando. Si aggiustò i capelli un’ultima volta, infilò la giacca di pelle e corse giù per le scale, rischiando di cadere dalla foga.
Non appena uscì dal portone del palazzo, Carlos svoltò l’angolo e si presentò a lui con due colpi di clacson.
Non fece in tempo a chiudere la portiera dietro di se che già l’auto sfrecciava per le vie stranamente semideserte della città. La radio trasmetteva una canzone rock dalle chitarre laceranti e atmosfere paranoiche che rendeva il paesaggio circostante diverso da come lo aveva sempre visto.
“Questo e lui.” disse Carlos.
“Lui chi?”
“Mr. D.” rispose.
Mario lo guardò stranito, cercando di capire il motivo per il quale Carlos fosse così interessato a renderlo partecipe della sua scoperta.
“Mr. D.” ripeté.  “Quello della festa. È lui che la organizza.”
“Quindi è un cantante rock?”
“Un cantante rock? Amico mio, lui è il rock!” gridò. “Non dirmi che non lo conosci?!”
“Mai avuta la fortuna…”
Carlos lo guardò con aria severa prima di alzare il volume quasi al massimo. La melodia coprì completamente il rumore del motore e i vetri dell’auto cominciarono a tremare ad ogni colpo di basso.
Accelerava seguendo il ritmo della canzone, a tratti inarrestabile, a tratti lenta ed angosciosa. Conosceva a memoria tutto il testo e lo cantava a squarciagola, interrompendosi ogni due o tre frasi per raccontare all’amico episodi di vita dannata del nuovo profeta del rock.
Negli occhi aveva una strana rabbia, mai così evidente fino a quel momento. Urlava parole non sue contro l’asfalto sotto le ruote, come se stessero raccontando la sua vita tra un “vaffanculo” e un “addio gente senza nome”.
Ad un tratto, l’uomo affascinante e maledettamente sicuro di sé divenne un ragazzino furioso con il mondo che lo circondava; era come se l’adolescenza sopita si fosse risvegliata improvvisamente in un corpo adulto e alla guida di un’arma convenzionale, fatta di cavalli rombanti e pistoni scatenati.
Arrivarono alla festa in dieci minuti, molto di meno di quanto avrebbero dovuto impiegarci ad una velocità ragionevole.
Carlos affrontava le piccole stradine sterrate immerse nel buio con la disinvoltura di chi doveva averle percorse centinaia di volte mentre Mario non aveva la minima idea di dove si trovasse.
Dopo alcuni minuti di sballottamenti, causati dalle innumerevoli buche, svoltarono per un vialetto cementato, sbucato dal nulla, e si fermarono davanti ad un grosso cancello scuro che, dopo alcuni secondi di attesa, si aprì automaticamente e li lasciò passare.
Percorsero una stradina che si inoltrava in un fitto bosco di pini che rendevano l’atmosfera ancora più tetra di quanto già fosse. Improvvisamente, i rami si aprirono davanti a loro, lasciando la scena ad una grande casa, completamente bianca e sorretta da pilastri imponenti. Una sontuosa fontana di marmo bianco era incastonata nella piazzola antistante l’edifico, dove decine di auto eleganti erano parcheggiate ordinatamente.
Carlos si fermò davanti alla scalinata che conduceva all’ingresso della villa e scese dall’auto lasciando il motore acceso; Mario lo seguì di istinto.
Un ragazzo con giacca rossa e pantaloni scuri venne loro incontro a passo spedito, sfoderando un sorriso smagliante brevettato per l’occasione. Carlos lo salutò con un cenno distratto della mano ed egli rispose con un “Benvenuto signore”, si infilò agilmente in macchina e sfrecciò via, alla ricerca di un posto auto libero.
Arrivati in cima alla scalinata, la porta si aprì ed un uomo sulla cinquantina fece loro cenno di entrare, accompagnando il tutto con un inchino servile. Stette in quella posizione fino a quando Mario entrò per ultimo, chiudendo successivamente la porta dietro di loro.
Si ritrovarono in un grande atrio dove una lunga scala in legno finemente lavorato dominava l’arredamento. Ai lati di essa c’erano due archi che fungevano da ingresso ad altre sale. Dall’ala destra della villa provenivano urla e schiamazzi di gente al culmine del divertimento, accompagnati da una musica assordante.
Carlos si diresse sicuro verso quella direzione e Mario lo seguì a ruota per non rimanere solo.
Una volta dentro, li accolse un delirio di corpi che si fondevano nella semioscurità; figure indefinite si sfioravano e si abbandonavano freneticamente, milioni di parole si mischiavano, sciogliendosi in un’unica enorme espressione confusa.
Carlos cominciò il giro di saluti mentre Mario decise di rifugiarsi nell’angolo apparentemente più tranquillo della sala, seminascosto dietro una grossa pianta. In pochi secondi si persero di vista.
Per circa mezz’ora Mario si atteggiò ad ospite indesiderato, rimanendo al di fuori della confusione che regnava a pochi metri da lui. Di tanto in tanto, qualche figura umana gli passava davanti e lo osservava, cercando di intravedere in lui un volto conosciuto, per poi sparire nella direzione opposta rispetto a dove era arrivata.
La noia cominciò ad impadronirsi di lui quando Carlos sbucò dal buio e gli venne incontro.
“Ma dove eri finito?” gli chiese urlando per via del frastuono.
“Sono sempre rimasto qui.”
“Vieni che ti presento qualcuno.”
Carlos si gettò nuovamente tra la folla e Mario dovette faticare per stargli dietro, evitando uomini e donne che ballavano freneticamente e urlavano parole biascicate a causa dell’alcol e chissà quali droghe.
Finalmente Carlos si fermò davanti ad un gruppo di tre persone, appoggiate ad un grosso tavolo contro la parete, dove erano sistemate bottiglie di liquori di ogni genere e bicchieri di cristallo semivuoti.
“Ehi D. , ti presento un mio amico. Si chiama Mario.” Disse Carlos rivolgendosi ad uno di loro.
L’uomo dal look eccentrico gli porse la mano, con il dorso rivolto verso l’alto ed il polso leggermente inarcato. Su ogni dito troneggiavano anelli dorati dello spessore di un centimetro, ogni unghia era colorata diversamente dalle altre.
Mario gli strinse la mano timorosamente, rifiutando il baciamano a cui l’uomo lo aveva invitato.
“Questo è Mr. D. , quello della canzone.” Intervenne Carlos.
“Piacere.” disse Mario.
“Incantato!” esclamò D.
“Bella casa.” Disse Mario per rompere il ghiaccio.
“Sì, non c’è male. Sto pensando di venderla. Sai, non mi piace mettere radici in un posto fisso. Tango, la vuoi comprare tu?” disse rivolgendosi al ragazzo alla sua destra.
Tango sorrise, passandosi una mano tra i capelli biondi e perfettamente acconciati.
“No, Tango non se la può permettere.” Aggiunse. Tango sorrise nuovamente. “Vuoi forse comprarla tu, amico di Carlos?”
“Nemmeno io potrei permettermela, suppongo.”
“Beh, in questo caso dovrò tenermela tutta per me.”
Mr. D. cominciò a ridere inarcando il busto all’indietro e lasciando cadere i lunghi capelli scuri dietro di se. Era una risata appena accennata, in simmetrico contrasto con la sua espressione facciale notevolmente marcata; pareva un attore doppiato male in un film girato ancora peggio.
Mario dovette faticare per non ridere a squarciagola per la comicità della situazione e si limitò ad un sorriso trattenuto.
Mr. D. si ricompose, sventolandosi con un tovagliolo per combattere le vampate di caldo provocate dalla risata scoordinata.
“Mi è venuto una gran sete. Tango, perché non vai a prendermi qualcosa da bere.” Disse.
Tango si allontanò senza protestare e Mr. D. si rivolse a Carlos con una mezza risatina. Presero a parlarsi nelle orecchie, escludendo lo sconosciuto al loro fianco da ogni tipo di discorso.
Mario si guardò attorno per ingannare il tempo più che per reale curiosità. Lo colpirono le enormi tende rosse alle finestre, in netto contrasto con il resto dell’arredamento futurista.
La sala era piuttosto grande, condizione notevolmente amplificata grazie alla totale assenza di mobili. Qua e la erano sparse sedie di plastica azzurrina dallo stile bizzarro, progettate probabilmente da un architetto tanto famoso nell’ambiente dello spettacolo quanto sconosciuto per Mario.
I tavoli contro tre delle quattro pareti seguivano lo stesso stile indefinito delle sedie, solo più robusti e corposi. Alle pareti erano appesi quadri astratti di varie misure, che occupavano angoli meno in luce, lasciando libere le porzioni di pareti più in vista. Sembrava che chi avesse arredato la casa avesse volutamente ignorato le nozioni fondamentali di simmetria, creando nel luogo una confusione studiata per essere osservata. Persino la disposizione delle piante rientrava in quel gioco di disordine cronico.
Di tanto in tanto, Mario gettava occhiate fugaci su Carlos e il re del rock, incrociando spesso lo sguardo profondo di quest’ultimo.
Si sentiva perennemente scrutato, esaminato a fondo in ogni sua espressione e movimento. Ogni volta che guardava Mr. D. cadeva nei suoi occhi, che lo scavavano in profondità alla ricerca di un punto debole da colpire. Non capiva perché egli lo stesse fissando a quel modo e ciò gli creava un marcato imbarazzo.
“Che c’è amico di Carlos? Ti stai forse annoiando?” disse Mr. D. interrompendo un discorso di Carlos.
La domanda, pronunciata con tono ineluttabilmente infastidito, lo squarciò in due. Che motivo aveva per essere così in collera con lui? Anche Carlos rimase sorpreso e ci fu un minuto di gelo nel gruppo.
Lo sguardo di Mr. D. era pervaso dalla rabbia, al culmine di una tensione esplosiva. Sembrava che da un momento all’altro si sarebbe scagliato con violenza contro il suo ospite sconosciuto.
Quando la situazione sembrò essere irrimediabile, Mr. D. scoppiò nuovamente nella risata sconnessa di qualche minuto prima. Carlos e Mario si guardarono increduli per qualche secondo e scoppiarono anche loro a ridere.
Col passare dei minuti l’atmosfera divenne più rilassante.
Mario, dapprima escluso da qualsiasi discorso, partecipava ora attivamente alle discussioni che si avvicendavano nel frastuono incessante. Macchine lussuose, viaggi da sogno e gossip sfrenato si alternavano disordinatamente, dissolvendosi con la stessa velocità con cui venivano alla luce.
Mario si sorprendeva al solo sentir parlare di celebrità e loro vizi ed ascoltava avidamente ogni informazione, sconosciute ai più, in preda ad una morbosa curiosità, sentendosi altamente privilegiato nel venire a conoscenza di fatti che la gente comune non leggeva nemmeno nei più scandalistici dei rotocalchi.
Mr. D. si rese ben presto conto di essere una fonte inesauribile di interessantissime notizie per il suo nuovo pseudo-amico; lo vedeva pendere dalle sue labbra, avvicinarsi a lui ogni volta che la musica cercava di coprire le loro parole. La sua sete di notizie lo inebriava e lo portava, di tanto in tanto, ad enfatizzare i pettegolezzi meno interessanti e trasportandoli allo stesso livello di attenzione delle notizie più succulente.
Inconsapevolmente, Mario ricreava attorno a lui quell’alone mistico che caratterizzava ogni suo concerto; lo innalzava su un palco immaginario e puntava su di lui tutte le luci a disposizione, escludendo tutto ciò che lo circondava, rendendolo unico ed incontrastato protagonista.
Al contrario, Carlos cominciò via via ad estraniarsi. Partecipava con distacco alla discussione, intervenendo di tanto in tanto solo per giustificare la propria presenza. D’un tratto si sentì di ingombro e geloso dell’attenzione, fino a quel giorno rivolta a lui, che Mario riservava al suo nuovo celebre amico. Sentì così il bisogno di sparire tra la folla e si dileguò senza che i due se ne accorgessero minimamente.
Andarono avanti per quasi un’ora, Mario sempre più curioso, Mr. D. sempre più ubriaco. Le parole ormai veleggiavano nell’aria inconsistenti e prive di reale significato. Nomi celebri si alternavano freneticamente e si confondevano in discorsi senza capo ne coda.
Mr. D. cercava di mantenere una certa logica nei suoi discorsi ma i fumi dell’alcol lo facevano desistere immediatamente ogni volta che aggiungeva un nuovo personaggio alla sua storia infinita.
“E con questo ti ho detto tutto.”Disse Mr. D. stremato. “Io cambio aria.”
Salutò Mario con una pacca sulla spalla, accennò ad un mezzo abbraccio e sgusciò via.
Mario lo seguì con gli occhi, ancora estasiato dai suoi racconti mondani, combattuto nella voglia di seguire il suo viaggio traballante. Dopo pochi passi, però, Mr. D. tornò da lui.
“Ma vuoi startene lì impalato tutta la sera?” biascicò.
Si allontanò nuovamente e gli fece cenno di seguirlo.
Mario obbedì come un cagnolino ammaestrato e lo raggiunse in un attimo. I due camminarono a zig-zag per tutta la sala, abbracciati l’uno all’altro, fino ad uscirne passando per il grande arco. Mario si faceva guidare da lui con la curiosità di un bambino.
Raggiunsero l’atrio e si fermarono ai piedi della scala in legno.
Mr. D. la guardò con aria di sfida.
“La sintesi perfetta della vita: trovi sempre una scala ripida davanti a te proprio nel momento in cui non hai le forze per affrontarla.”
Scoppiò a ridere ancora una volta. “Che gran cazzata che ho detto!”
Salirono lentamente i gradini scricchiolanti ed entrarono in una stanza buia, dove una porta-finestra spalancata si affacciava sulla boscaglia di pini.
Mr. D. si divincolò dalla presa di Mario e sprofondò in una poltrona di pelle scura. Mario andò in cerca dell’interruttore della luce.
“Non cercare la luce, non c’è. Accendi quella.” Disse indicando una candela su di un tavolino in vetro.
Mario accese la candela e si sedette sulla poltrona accanto a lui. Le loro ombre si spalmarono sulla parete.
“Dimmi un po’…” disse Mr. D. “Ti piace la festa?”
“Sì, molto! È una delle migliori feste a cui abbia mai partecipato, anche se in verità non ne ho viste molte.”
“Fa schifo!”
“Non mi sembra. C’è tanta gente…”
“Tanta gente falsa!” lo interruppe. “Non crederai veramente che quelli siano tutti miei amici? La metà di loro non li conosco nemmeno.”
“E perché sono qui allora?”
“Perché nessuno che abbia un minimo di intelligenza si permette di mancare ad una festa di Mr. D.”
“Capisco.”
“Capisci? Sei anche tu una rockstar? Non puoi capire! Che vita di merda!” rispose infastidito.
“Beh, non esagerare. Non sai quanta gente scambierebbe la propria vita con la tua. Insomma, tu sei ricco, celebre e amato da tutti. Cosa si può pretendere di più?”
Mr. D. rise nuovamente ma questa lasciando trasparire enorme disagio.
“Amato? E da chi? L’unica persona che abbia mai detto di amarmi è sparita quando gli ho detto di andarmi a prendere da bere. Tu l’hai più rivisto?”
“Stai parlando di Tango?”
“Sì, Tango, il mio grande amore.”
“No, non l’o visto.” Rispose Mario imbarazzato.
“Eh sì caro amico, ecco un’altra delle tante stravaganze delle star: amo un uomo e sono amato da un uomo. Sei sorpreso?”
“Solo dal fatto che non mi sembrava che voi due… Insomma, non vi ho visti molto uniti, diciamo…”
Ad ogni parola che pronunciava Mario si sentiva sempre più imbarazzato. Non gli era mai capitato di colloquiare con un omosessuale e non sapeva cosa dire. Il fatto che egli fosse anche una celebrità non facilitava certo le cose.
“Forse perché ufficialmente non lo siamo.”
“In che senso?”
“Lui è sposato. Sua moglie è una delle tante sgualdrine al piano di sotto. Si sono sposati come copertura. Lui non se la sentiva di dichiarare al mondo la sua vera natura.”
“E’ triste questo.”
“Cosa? Che siamo gay?”
“No, assolutamente! È triste che lui si debba nascondere agli occhi di tutti.”
Mr. D. lo guardò con ammirazione. Un lieve sorriso affiorò sulle sue labbra. Allungò il braccio e gli posò la mano sulla gamba.
“Mi piace la tua semplicità. Sei ancora talmente puro da credere che dichiararsi al mondo sia un cosa così semplice, vedi nelle persone più infide un lato di umanità e apprezzi la ricchezza, la consideri un sogno. Anch’io ero come te, un tempo.”
“E cosa ti ha fatto cambiare?”
“Tutto questo.” Allargò le braccia al cielo, indicando la stanza. “D’altronde per diventare un Mr. D. bisogna vivere da Mr. D. e avere a che fare ogni giorno con persone che ti vedono come una montagna inesauribile di banconote di grosso taglio. È la dura legge dello show-business.”
La grande rockstar, fulcro dell’attenzione del mondo intero, era diventato un essere spoglio di ogni certezza, un bambino nudo ed indifeso in un campo di battaglia. L’ammirazione che Mario gli aveva donato fino a quel momento divenne pietà e la persona che prima possedeva tutto quello che desiderava, ora era un senza tetto sulla strada della vita.
Si rese conto della grande beffa dell’esistenza umana: quando si arriva a toccare il picco più alto della vita, comincia una discesa vertiginosa  ed inarrestabile verso il fondo. È come cadere dal tetto di un palazzo di cento piani.
“Posso farti una domanda?” chiese Mario.
Mr. D. annuì.
“Cosa vuol dire Mr. D. ?”
“Che vuoi che ne sappia io? Me l’hanno affibbiato i discografici. Non ho la minima idea del perché. Però, pensandoci bene, forse un significato ce l’ha…”
“Cioè?”
“Mr. Dipendenza. Dipendenza da tutto questo, dipendenza dal pubblico, dipendenza dalla mia rovina, eccetera eccetera. Ma basta parlare di me. Raccontami qualcosa della tua vita semplice. Ce l’hai la ragazza?”
“Purtroppo no. Anche se ne ho appena conosciuta una e… si mi piace molto.” Rispose imbarazzato.
“E gliel’hai già detto?”
“No, non ancora. Ci conosciamo da qualche giorno e mi sembra un po’ troppo presto.”
“Come vi siete conosciuti?”
“Beh, mi sono svegliato a casa sua.”
Mr. D. lo guardò sorpreso e nuovamente pieno di vita. Non si sarebbe mai aspettato di sentire da uno come Mario parole del genere. 
“Racconta, racconta!” disse con entusiasmo inaspettato.
“Una sera mi trovavo al locale di Carlos, il barista continuava a offrirmi da bere e ho preso una bella sbornia. L’ultima cosa che mi ricordo è uno schiaffo da parte di una ragazza al bagno delle donne e poi mi sono svegliato a casa di Marta.”
“Oltre il danno, la beffa. Così non ti ricordi nemmeno della notte di fuoco con lei?”
“No, non è successo niente tra di noi. Ero a casa sua perché mi aveva raccolto dal marciapiede davanti all’Atmosphere.”
“Ha avuto un bel coraggio a fare una cosa del genere!”
“E’ vero! Sai, da quel poco che la conosco, mi sembra una gran bella persona. È gentile, simpatica e, ovviamente, socievole. Vive sola in un appartamento che prima abitava con un’amica, poi questa se ne è andata e la lasciata lì a pagare l’affitto per intero. Insomma, una bella responsabilità per una ragazza giovane come lei.
Quello che mi piace di lei è l’entusiasmo che mette in ogni cosa che fa. Per esempio, mi ha svelato che il suo sogno sarebbe diventare una hostess e…”
Si accorse che Mr. D. non lo ascoltava più e si era addormentato nel mezzo del suo discorso. Era rannicchiato in posizione fetale, con la testa poggiata sul bracciolo della poltrona ed il braccio a penzoloni.
Si fermò qualche secondo ad osservarlo dormire; notò in lui un’espressione innocente che si liberava dalla sua immagine artefatta di grande divo. Nel sonno, tornò ad essere il bambino sognante che probabilmente era stato fino a qualche anno prima. Gli fece una gran tenerezza vederlo nell’unico suo momento di pace dell’intera giornata e si sentì, per un attimo, un ladro di innocenza.
Trovò una coperta di lana verde sul pavimento e lo coprì. Soffiò sulla candela e una sottile striscia di fumo bianco si arrampicò nell’aria.

In punta di piedi uscì dalla stanza e richiuse la porta dietro di sé. Dal piano inferiore arrivavano ancora la musica e gli schiamazzi degli invitati e capì finalmente quello che Mr. D. gli aveva svelato poco prima: le persone che credeva fossero amici erano solo comparse avide che ruotavano nel suo universo. A nessuno importava di lui, tutti si divertivano il più possibile, ignorando l’unica persona grazie alla quale stavano festeggiando, ignorando l’unica persona che non avrebbero dovuto ignorare.



tratto da Il Signor Nessuno (2004)

2 commenti:

elisabetta pendola ha detto...

mi sono annoiata a leggere questo racconto

Brus ha detto...

beh, che dire? mi spiace...