venerdì 8 marzo 2013

L'uomo della montagna

Camminavo per un sentiero, non molto tempo fa, quando incontrai un vecchio barbuto, vestito di stracci sgualciti e con l’aria di chi sapesse di trovarsi al posto giusto nel momento giusto.
In un primo momento finsi di non vederlo ma, dopo averlo superato, mi fermai e mi voltai verso di lui.
Notai che i suoi occhi erano pregni di uno strano colore, non esistente in natura, talmente cupi e profondi che mi impedirono qualsiasi movimento; l’unico organo che non cessò di vivere in me fu il cuore.
Il vecchio non accennava a distogliere lo sguardo dalla mia figura, povero cavallo ipnotizzato dal suo sguardo.
Mi comandava nel corpo e nell’anima e avrebbe potuto fare di me ciò avrebbe voluto;  tuttavia, non fece altro che fissarmi per lunghissimi istanti, quasi a voler leggere nella mia mente. E lo stava facendo.
Sentivo ogni pensiero scivolarmi via, percorrendo ogni vena ed ogni arteria del mio corpo, fino ad arrivare ai piedi, per poi risalire alla mia bocca, semiaperta dallo stupore e dall’angoscia. I suoi occhi divennero via via sempre più profondi.
Non so il perché, ma improvvisamente mi sedetti sull’erba continuando a fissare il mio stregone e mi ritrovai sul ciglio di un burrone, del quale non riuscivo a vedere il fondo.
Notai qualcosa sporgere da una roccia sulla parete e, benché non riuscissi a distinguere cosa fosse, provai un enorme desiderio di possederla. Mi attraeva come mai niente e nessuno erano riusciti ad attrarmi.
Più la osservavo e più la volevo. Non avevo altra ragione di vita che raggiungerla ma il mio corpo era inchiodato al terreno.
Ero un tutt’uno con la natura che mi circondava, ero una quercia secolare che desiderava muoversi anche solo di un centimetro.
Il mio viso si rigò di lacrime pesantissime, che arrivavano al mio cuore, in quel momento di pietra.
Una mano calda e rugosa si posò sul mio capo; senza alcuna incertezza riconobbi la mano dello stregone.
“Che motivo hanno le tue lacrime di sgorgare con tale irruenza?”
“Non riesco a raggiungere ciò che mi è ignoto, laggiù tra le rocce.”
“Nemmeno un capello hai mosso, né un occhio hai comandato. Le tue lacrime sono gocce di pioggia sul cemento.”
Udendo queste parole, riuscii a distinguere con facilità ciò che mi attraeva con tale potenza: una rosa delicata e solitaria, dai petali lucenti; ne sentii persino l’odore.
Smisi di piangere.
“Hai compiuto il primo passo, ora devi imparare a camminare.”
Con queste parole, lo stregone scomparve in una nuvola spazzata dal vento e rimasi solo sul ciglio del burrone.
Passò un giorno, passò una notte, passò un altro giorno e un’altra notte; all’alba del terzo giorno, lo stregone tornò e poggiò nuovamente il palmo della sua mano sul mio capo.
“Perché mi hai lasciato solo con la mia angoscia?” gli chiesi.
“Io sono sempre rimasto qui con te.”
“Ma non sentivo più la tua mano sul mio capo.”
“La mia mano non si è mai mossa di qui. Non sei mai rimasto solo, il tuo cuore sì. E quella rosa splende ancora tra le rocce.”
“Vorrei tanto raggiungerla, ma nessun sentiero mi conduce da lei.”
“Il fatto che tu non ne veda non significa che non ce ne siano.”
“L’unico modo che ho di possederla è scalare quella roccia ma non ho il coraggio, né la capacità per farlo.”
“Non esiste un’unica soluzione ad un problema. La terra, l’aria, il fuoco e l’acqua non sono mai insormontabili; solo la paura li rende tali. La paura distrugge l’anima molto più del dolore.”
“Tu non hai mai paura?”
“La paura è in ognuno di noi, è un demone che mai nessuno sconfiggerà, è il demone che ci tiene in vita.”
“Ma se ci tiene in vita, significa che siamo destinati a soffrire?”
“Ciò che non si può sconfiggere, si può ingannare. Inganna la tua paura e cogli quella rosa.”
Mi alzai.
Riuscivo a comandare il mio corpo, divenuto assai più leggero.
Giunsi sull’ultima roccia prima del baratro e abbassai lo sguardo. Ora l’oggetto del mio desiderio era incredibilmente vicino.
Protesi un braccio per cogliere la rosa ma non vi arrivai, così lo ritrassi di scatto. Ora la rosa era doppiamente lontana di quanto fosse in principio.
“Si allontana ed ora è irraggiungibile.” dissi sconsolato.
“Sta a te riavvicinarla.”
In quell’istante capii che il modo più semplice per raggiungerla era arrivarvi direttamente, senza sentieri e scorciatoie.
Sollevai le braccia al cielo, continuando a fissare ciò che si trovava sotto di me. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare.
Volavo.

Riaprii gli occhi e vidi il cielo.
Mi alzai in piedi, spaventato e grondante di sudore.
Avevo sognato? Com’era possibile? Era tutto così reale…
Non mi trovavo più sul ciglio del burrone ed il vecchio barbuto, vestito di stracci sgualciti, non si trovava più di fronte a me.
Mi sentii vuoto ed inutile, osservando la quiete dello stagno.
Vidi le anatre che galleggiavano sull’acqua limpida, le foglie cadere lievi dagli alberi, i bambini che, divertiti, soffiavano sulle loro barchette di carta.
Piansi.
Una mano si posò sul mio capo e, improvvisamente, vidi nel mezzo dello stagno una bellissima, delicata e solitaria rosa sbucare dalle acque.


(2008)

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