L’alba
Pull.
L’invito argentato di un nuovo pacchetto è eccitante come la
prima pagina di un libro da leggere.
Esamino con minuzia la compattezza della stagnola che si
abbandona senza ostilità tra le mie dita e ne osservo compiaciuto l’opacità.
Venti rotoli di tabacco si inebriano della luce mattutina, si mostrano a me
compiacenti e provocanti, pronti ad abbandonarsi al mio piacere.
La giornata è troppo importante per rinunciare al piacevole
rilassamento che solo loro sanno regalarmi.
La incontrerò e devo essere in forma; non posso permettere
che al nostro incontro si presenti il mio alter ego allucinato e isterico, non
dopo tutto quello che ci siamo detti in questi mesi. Conosco alla perfezione
l’altra faccia della mia medaglia e so quanto sia pericoloso permettergli di
riaffiorare in superficie.
L’auto si mette in moto borbottando ed il primo fiammifero
si incendia senza indugi.
“La giornata è cominciata alla perfezione.” penso.
Sincronizzo inspirazioni ed espirazioni con ognuno dei chilometri
da percorrere, in una danza improvvisata ed istintiva, passionale e
prorompente.
La strada, a quell’ora del mattino, lascia proliferare i
miei pensieri più prossimi e scorre liscia sotto i battistrada consumati.
Giungo a destinazione senza intoppi e mi preparo
all’incontro che cambia una vita.
L’attesa
Il treno entra lentamente in stazione, quasi si sentisse
straniero in una megalopoli schizofrenica. Un timido ed impacciato ammasso di lamiere che,
con grottesca delicatezza, ossessivamente tenta di nascondersi agli sguardi del
popolo transumante, talvolta cupo e
rassegnato, talvolta ardente della passione più vera.
Non so da quale vagone sbucherà Lei e questa incertezza
rende il gioco ancor più eccitante.
Attimi interminabili e lo sferragliare, finalmente, scema.
Mi posiziono all’inizio della banchina, nel punto esatto
dove il vociare e lo scalpitare si concentra maggiormente. In questo modo non la perderò. In questo
modo avrò buone possibilità di vederla prima che Lei si accorga della mia
presenza. E, quando succederà, sarà un’esplosione di colori e profumi, sarà un
effluvio di attimi indimenticabili, di indelebili murales ad adornare le pareti
della mia memoria.
“Come sarà il suo incedere?” mi sorprendo a chiedermi.
“Timido e impacciato? Deciso e prorompente? Rispecchierà la sua voce, il suo
carattere? Saprà fondersi e amalgamarsi con le parole profonde e poetiche che i
miei occhi hanno scolpito in questo lungo periodo di speranza?”
Il timore di un’immagine agli antipodi dei miei desideri si
sfalda non appena riconosco il lembo di stoffa rosso fuoco – segnale
prestabilito e inequivocabile della sua presenza – che cinge il suo collo
sottile e slanciato, appena celato da una cascata di ciuffi nero corvino.
È Lei, finalmente Lei.
Mi avvicino furtivo mentre la osservo scrutare la marmaglia
di passanti frettolosi che si avvicendano da ogni direzione.
Progetto, in un primo momento, di sbucarle alle spalle e
farla sobbalzare, ma rinuncio prontamente all’idea in favore del desiderio di
prolungare quegli istanti di vantaggio visivo che ho nei suoi confronti. Quando
mi potrà capitare nuovamente di essere un’ombra che osserva il suo corpo senza
essere notato?
L’ultimo passo e la distanza che ci divide è ormai
insignificante.
La guardo e penso che non siamo stati mai così vicini e,
forse, non lo saremo mai più.
I suoi occhi brillano, la pelle candida delle guance si riga
di lacrime, le labbra assumono i contorni di un sorriso brillante.
Il mio cuore esplode e la voce si nasconde negli antri più
profondi delle mie interiora.
È un istante da regalare al silenzio.
Il dono
Seduti ad un tavolo tondo e minuto, sorseggio il mio caffé
fumante, mentre la bustina di thé alla menta, a mollo nella sua tazza di
porcellana, profuma il metro quadrato nella nostra fetta di ossigeno.
“Che strano vederti, associare un’immagine alla voce che ha
accompagnato i miei sogni da due mesi a questa parte!”
Sospira ancora in preda al marasma emozionale di cui è
piacevolmente vittima.
“Sì, è davvero parecchio strano.”
“Non so spiegarti il perché, ma mi aspettavo che fossi
proprio così.”
“Ne sei delusa?”
Il timore che ha pervaso le mie ultime giornate, nell’attesa
del nostro incontro, ritorna prorompente.
“No. Ma non so dirti se era quello che speravo di trovare,
vedendoti.”
“Beh, è già qualcosa.”
“E tu?”
“Io, cosa?”
“Sei deluso?”
“Se devo essere sincero, ho tentato con tutte le forze di
allontanare un’ipotetica immagine di te.”
Mi scopro un maledetto bugiardo.
“Come mai?”
“Volevo mantenere vivo il più possibile l’effetto sorpresa e
rendere l’attesa ancora più sublime di quanto già fosse.”
“Sì, mi pare sia stata una buona idea, la tua.”
“Certo, lo è stata! E persino ciò che è scaturito da essa.”
Un altro sorso di thé per lasciar spazio all’elaborazione
mentale e fissare nella memoria le nostre parole aleggianti.
Il suo cellulare vibra; m'innervosisco al pensiero che
qualcuno possa frantumare il nostro momento.
Legge velocemente il messaggio sul display senza lasciar
trasparire alcuna emozione.
“Sai, questa notte non ho chiuso occhio pensando al nostro
incontro.” riprende.
“Idem.”
“Davvero?”
“Mai stato così sincero.”
“Se penso a quanto tempo sprechiamo la notte, dedicandolo a
sogni irreali e irrealizzabili, mi avvilisco. Ieri, invece, è stata una notte
piuttosto costruttiva: ho pensato a te, a noi, ai nostri primi gesti coordinati,
alle prime parole, a questo momento.”
“Io invece ho avuto paura.”
“Di cosa?”
“Di scoprire che quel che ci siamo confessati nell’ultimo
periodo venisse travolto ed ingabbiato dalla timidezza del nostro incontro.”
“Per fortuna non è stato così!” sorride e mi sfiora la mano.
“Direi che siamo stati davvero fortunati!”
Non sono convinto di questa mia ultima affermazione e sento
il bisogno di correggerla:
“No, anzi, siamo stati davvero abili a non farci sopraffare
dai silenzi imbarazzati!”
“Pensi davvero a quello che mi hai detto l’ultima volta che
ci siamo sentiti?”
“Certo, più che mai!”
Sospira e si rilassa.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché è così semplice dire certe cose senza il supporto di
una reale convinzione. Ho già avuto modo di costatarlo, in passato, sia come
vittima che come carnefice, e non avrei potuto sopportarlo un’altra volta, non
con te.”
“Ti capisco e devo confessarti che, talvolta, anch’io ho
provato il tuo stesso timore. Non che non fossi sicuro dei miei sentimenti ma
ho temuto che il mio gemello lunatico prendesse il sopravvento. Se questo fosse
successo, non avrei mai potuto perdonarmelo ma, per fortuna, ho avuto la
meglio.”
Un ultimo sorso leggero, quello più dolce e anche la sua
tazza ritorna al vuoto originale.
“Ti ho portato un regalo!” squilla la sua voce.
Quel repentino cambio di atmosfera mi stordisce ed aumenta
il battito cardiaco.
“Davvero?”
“Sì!”
“E cos’è?”
“Se te lo dico ti rovino la sorpresa. Chiudi
gli occhi.”
L’emozione raggiunge picchi vertiginosi e le palpebre si
serrano a fatica.
“Ora allunga le mani verso di me.”
Eseguo.
I polpastrelli entrano in contatto con una superficie ruvida
e calda, che viene riconosciuta in uno strato di cartoncino.
Non appena abbandona il peso nelle mie mani, mi rendo conto
di star sostenendo una sorta di quaderno, o qualcosa di simile.
“Ora puoi aprire gli occhi.”
Dilato a dismisura il senso di ignoto, facendolo scorrere
davanti ai miei occhi sotto forma di miriade di immagini artefatte, alla
ricerca di quella più vicina alla realtà che si presenterà al mio sguardo, di
li a poco.
Finalmente ridò luce ai miei pensieri e mi regalo l’immagine
di quel che più avevo sperato in quegli attimi: un manoscritto rilegato e ben
composto, sobrio nelle sfumature di grigi e corposo nel volume.
Schegge di Vita, recita il titolo in copertina.
Strabuzzo gli occhi e la interrogo senza proferir parola.
“Sì, sono proprio loro.” conferma leggendo i miei pensieri,
mai così trasparenti.
“Ma sono i tuoi racconti…”
“Ti avevo promesso che un giorno li avresti letti, ed eccoli
qua!”
La sensazione è pari a quella che si prova ricevendo in dono
una parte di anima altrui.
La cura con cui maneggio la raccolta è quanto di più sacrale
si possa immaginare; non sono solo fogli, né semplici caratteri stampati. In
quelle pagine c’è molto di più: c’è un intero universo di emozioni, c’è Lei, la
sua vita, la sua casa, i suoi affetti, il suo odio e, con ogni probabilità, in
questo arcobaleno di sensazioni è stato riservato un piccolo spazio per me.
“Lo reggi come fosse oro.”
Sorride.
“Lo è!”
“No, sono solo scritti.”
“Sono i tuoi scritti, quindi sei tu.”
Si sporge dalla sedia e mi abbraccia forte.
Il profumo dei suoi capelli stimola il mio olfatto e lo
eleva ad uno stato di semicoscienza dal forte retrogusto mistico.
Due corpi che diventano uno solo, un incrocio indistinto di
fibre e nervi che nessuna ragione al mondo avrà il potere di districare.
Il distacco
Seduti ad una panchina, nel mezzo di un deserto di cemento;
i raggi del Sole ricadono in picchiata sui nostri pensieri.
Parliamo, ridiamo, sospiriamo.
Dentro di noi, oceani quieti al tramonto si alternano a
catene montuose innevate di fresco. Foreste pluviali e laghi ghiacciati danzano
leggiadri un valzer di emozioni.
“Se penso al futuro, dubito che vivremo ancora un momento in
cui staremo così bene.” ipotizza sconsolata.
“Perché dici questo?”
“Gli attimi di felicità sono così rari e, quando ritornano,
non sono mai intensi come il precedente.”
“A volte può essere una fortuna, questa.”
“Sì, ma solo a volte.”
Altri secondi di silenzio si fanno largo tra il frastuono
cittadino.
Una lunga auto scura si ferma a pochi metri da noi; il corpo
di Lei si fa teso, i suoi muscoli abbandonano lo stato di rilassatezza nel
quale erano adagiati.
Di scatto si alza e mi da le spalle.
Questo è il segno che avevo più volte tentato di scacciare
dalla mia mente, il timore più grande contro cui la mia anima si era trovata a
combattere fino a quel momento.
Poggia nuovamente il suo sguardo limpido sul mio corpo
impietrito.
“E’ lui.”
“No…”
La mia voce si spezza e l’impotenza si miscela al sangue
nelle vene, percorrendole a velocità folle.
“Devo andare.”
Mi scaglia contro un altro pesantissimo masso.
Si china e mi prende le mani, affondando i suoi occhi nei
miei.
Mi si avvicina lentamente, annullando la porzione di
ossigeno che separa i nostri volti; labbra sfiorano labbra e l’incantesimo si
compie.
Un minuto che dura un secondo, per dar vita ad un fotogramma
che durerà una vita intera.
Mi abbandona e si dirige verso la macchina scura; apre lo
sportello posteriore, entra, indugia nel richiuderlo dietro di se ma, alla
fine, compie il gesto simbolo del nostro addio.
L’auto riparte incurante dei nostri stati d’animo e si
confonde tra le centinaia di gabbie metalliche che sfrecciano indifferenti
sulla strada.
Di Lei mi rimangono pagine da leggere e pagine da scrivere,
mi rimane una voce che è già così eterea, mi rimane un’immagine da incorniciare
al centro della mia anima.
(2009)
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