mercoledì 6 marzo 2013

Pull!


L’alba
Pull.
L’invito argentato di un nuovo pacchetto è eccitante come la prima pagina di un libro da leggere.
Esamino con minuzia la compattezza della stagnola che si abbandona senza ostilità tra le mie dita e ne osservo compiaciuto l’opacità. Venti rotoli di tabacco si inebriano della luce mattutina, si mostrano a me compiacenti e provocanti, pronti ad abbandonarsi al mio piacere.
La giornata è troppo importante per rinunciare al piacevole rilassamento che solo loro sanno regalarmi.
La incontrerò e devo essere in forma; non posso permettere che al nostro incontro si presenti il mio alter ego allucinato e isterico, non dopo tutto quello che ci siamo detti in questi mesi. Conosco alla perfezione l’altra faccia della mia medaglia e so quanto sia pericoloso permettergli di riaffiorare in superficie.
L’auto si mette in moto borbottando ed il primo fiammifero si incendia senza indugi.
“La giornata è cominciata alla perfezione.” penso.
Sincronizzo inspirazioni ed espirazioni con ognuno dei chilometri da percorrere, in una danza improvvisata ed istintiva, passionale e prorompente.
La strada, a quell’ora del mattino, lascia proliferare i miei pensieri più prossimi e scorre liscia sotto i battistrada consumati.
Giungo a destinazione senza intoppi e mi preparo all’incontro che cambia una vita.

L’attesa
Il treno entra lentamente in stazione, quasi si sentisse straniero in una megalopoli schizofrenica. Un  timido ed impacciato ammasso di lamiere che, con grottesca delicatezza, ossessivamente tenta di nascondersi agli sguardi del popolo transumante,  talvolta cupo e rassegnato, talvolta ardente della passione più vera.
Non so da quale vagone sbucherà Lei e questa incertezza rende il gioco ancor più eccitante.
Attimi interminabili e lo sferragliare, finalmente, scema.
Mi posiziono all’inizio della banchina, nel punto esatto dove il vociare e lo scalpitare si concentra maggiormente. In questo modo non la perderò. In questo modo avrò buone possibilità di vederla prima che Lei si accorga della mia presenza. E, quando succederà, sarà un’esplosione di colori e profumi, sarà un effluvio di attimi indimenticabili, di indelebili murales ad adornare le pareti della mia memoria.
“Come sarà il suo incedere?” mi sorprendo a chiedermi. “Timido e impacciato? Deciso e prorompente? Rispecchierà la sua voce, il suo carattere? Saprà fondersi e amalgamarsi con le parole profonde e poetiche che i miei occhi hanno scolpito in questo lungo periodo di speranza?”
Il timore di un’immagine agli antipodi dei miei desideri si sfalda non appena riconosco il lembo di stoffa rosso fuoco – segnale prestabilito e inequivocabile della sua presenza – che cinge il suo collo sottile e slanciato, appena celato da una cascata di ciuffi nero corvino.
È Lei, finalmente Lei.
Mi avvicino furtivo mentre la osservo scrutare la marmaglia di passanti frettolosi che si avvicendano da ogni direzione.
Progetto, in un primo momento, di sbucarle alle spalle e farla sobbalzare, ma rinuncio prontamente all’idea in favore del desiderio di prolungare quegli istanti di vantaggio visivo che ho nei suoi confronti. Quando mi potrà capitare nuovamente di essere un’ombra che osserva il suo corpo senza essere notato?
L’ultimo passo e la distanza che ci divide è ormai insignificante.
La guardo e penso che non siamo stati mai così vicini e, forse, non lo saremo mai più.
I suoi occhi brillano, la pelle candida delle guance si riga di lacrime, le labbra assumono i contorni di un sorriso brillante.
Il mio cuore esplode e la voce si nasconde negli antri più profondi delle mie interiora.
È un istante da regalare al silenzio.

Il dono
Seduti ad un tavolo tondo e minuto, sorseggio il mio caffé fumante, mentre la bustina di thé alla menta, a mollo nella sua tazza di porcellana, profuma il metro quadrato nella nostra fetta di ossigeno.
“Che strano vederti, associare un’immagine alla voce che ha accompagnato i miei sogni da due mesi a questa parte!”
Sospira ancora in preda al marasma emozionale di cui è piacevolmente vittima.
“Sì, è davvero parecchio strano.”
“Non so spiegarti il perché, ma mi aspettavo che fossi proprio così.”
“Ne sei delusa?”
Il timore che ha pervaso le mie ultime giornate, nell’attesa del nostro incontro, ritorna prorompente.
“No. Ma non so dirti se era quello che speravo di trovare, vedendoti.”
“Beh, è già qualcosa.”
“E tu?”
“Io, cosa?”
“Sei deluso?”
“Se devo essere sincero, ho tentato con tutte le forze di allontanare un’ipotetica immagine di te.”
Mi scopro un maledetto bugiardo.
“Come mai?”
“Volevo mantenere vivo il più possibile l’effetto sorpresa e rendere l’attesa ancora più sublime di quanto già fosse.”
“Sì, mi pare sia stata una buona idea, la tua.”
“Certo, lo è stata! E persino ciò che è scaturito da essa.”
Un altro sorso di thé per lasciar spazio all’elaborazione mentale e fissare nella memoria le nostre parole aleggianti.
Il suo cellulare vibra; m'innervosisco al pensiero che qualcuno possa frantumare il nostro momento.
Legge velocemente il messaggio sul display senza lasciar trasparire alcuna emozione.
“Sai, questa notte non ho chiuso occhio pensando al nostro incontro.” riprende.
“Idem.”
“Davvero?”
“Mai stato così sincero.”
“Se penso a quanto tempo sprechiamo la notte, dedicandolo a sogni irreali e irrealizzabili, mi avvilisco. Ieri, invece, è stata una notte piuttosto costruttiva: ho pensato a te, a noi, ai nostri primi gesti coordinati, alle prime parole, a questo momento.”
“Io invece ho avuto paura.”
“Di cosa?”
“Di scoprire che quel che ci siamo confessati nell’ultimo periodo venisse travolto ed ingabbiato dalla timidezza del nostro incontro.”
“Per fortuna non è stato così!” sorride e mi sfiora la mano.
“Direi che siamo stati davvero fortunati!”
Non sono convinto di questa mia ultima affermazione e sento il bisogno di correggerla:
“No, anzi, siamo stati davvero abili a non farci sopraffare dai silenzi imbarazzati!”
“Pensi davvero a quello che mi hai detto l’ultima volta che ci siamo sentiti?”
“Certo, più che mai!”
Sospira e si rilassa.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché è così semplice dire certe cose senza il supporto di una reale convinzione. Ho già avuto modo di costatarlo, in passato, sia come vittima che come carnefice, e non avrei potuto sopportarlo un’altra volta, non con te.”
“Ti capisco e devo confessarti che, talvolta, anch’io ho provato il tuo stesso timore. Non che non fossi sicuro dei miei sentimenti ma ho temuto che il mio gemello lunatico prendesse il sopravvento. Se questo fosse successo, non avrei mai potuto perdonarmelo ma, per fortuna, ho avuto la meglio.”
Un ultimo sorso leggero, quello più dolce e anche la sua tazza ritorna al vuoto originale.
“Ti ho portato un regalo!” squilla la sua voce.
Quel repentino cambio di atmosfera mi stordisce ed aumenta il battito cardiaco.
“Davvero?”
“Sì!”
“E cos’è?”
“Se te lo dico ti rovino la sorpresa. Chiudi gli occhi.”
L’emozione raggiunge picchi vertiginosi e le palpebre si serrano a fatica.
“Ora allunga le mani verso di me.”
Eseguo.
I polpastrelli entrano in contatto con una superficie ruvida e calda, che viene riconosciuta in uno strato di cartoncino.
Non appena abbandona il peso nelle mie mani, mi rendo conto di star sostenendo una sorta di quaderno, o qualcosa di simile.
“Ora puoi aprire gli occhi.”
Dilato a dismisura il senso di ignoto, facendolo scorrere davanti ai miei occhi sotto forma di miriade di immagini artefatte, alla ricerca di quella più vicina alla realtà che si presenterà al mio sguardo, di li a poco.
Finalmente ridò luce ai miei pensieri e mi regalo l’immagine di quel che più avevo sperato in quegli attimi: un manoscritto rilegato e ben composto, sobrio nelle sfumature di grigi e corposo nel volume.
Schegge di Vita, recita il titolo in copertina.
Strabuzzo gli occhi e la interrogo senza proferir parola.
“Sì, sono proprio loro.” conferma leggendo i miei pensieri, mai così trasparenti.
“Ma sono i tuoi racconti…”
“Ti avevo promesso che un giorno li avresti letti, ed eccoli qua!”
La sensazione è pari a quella che si prova ricevendo in dono una parte di anima altrui.
La cura con cui maneggio la raccolta è quanto di più sacrale si possa immaginare; non sono solo fogli, né semplici caratteri stampati. In quelle pagine c’è molto di più: c’è un intero universo di emozioni, c’è Lei, la sua vita, la sua casa, i suoi affetti, il suo odio e, con ogni probabilità, in questo arcobaleno di sensazioni è stato riservato un piccolo spazio per me.
“Lo reggi come fosse oro.”
Sorride.
“Lo è!”
“No, sono solo scritti.”
“Sono i tuoi scritti, quindi sei tu.”
Si sporge dalla sedia e mi abbraccia forte.
Il profumo dei suoi capelli stimola il mio olfatto e lo eleva ad uno stato di semicoscienza dal forte retrogusto mistico.
Due corpi che diventano uno solo, un incrocio indistinto di fibre e nervi che nessuna ragione al mondo avrà il potere di districare.


Il distacco
Seduti ad una panchina, nel mezzo di un deserto di cemento; i raggi del Sole ricadono in picchiata sui nostri pensieri.
Parliamo, ridiamo, sospiriamo.
Dentro di noi, oceani quieti al tramonto si alternano a catene montuose innevate di fresco. Foreste pluviali e laghi ghiacciati danzano leggiadri un valzer di emozioni.
“Se penso al futuro, dubito che vivremo ancora un momento in cui staremo così bene.” ipotizza sconsolata.
“Perché dici questo?”
“Gli attimi di felicità sono così rari e, quando ritornano, non sono mai intensi come il precedente.”
“A volte può essere una fortuna, questa.”
“Sì, ma solo a volte.”
Altri secondi di silenzio si fanno largo tra il frastuono cittadino.
Una lunga auto scura si ferma a pochi metri da noi; il corpo di Lei si fa teso, i suoi muscoli abbandonano lo stato di rilassatezza nel quale erano adagiati.
Di scatto si alza e mi da le spalle.
Questo è il segno che avevo più volte tentato di scacciare dalla mia mente, il timore più grande contro cui la mia anima si era trovata a combattere fino a quel momento.
Poggia nuovamente il suo sguardo limpido sul mio corpo impietrito.
“E’ lui.”
“No…”
La mia voce si spezza e l’impotenza si miscela al sangue nelle vene, percorrendole a velocità folle.
“Devo andare.”
Mi scaglia contro un altro pesantissimo masso.
Si china e mi prende le mani, affondando i suoi occhi nei miei.
Mi si avvicina lentamente, annullando la porzione di ossigeno che separa i nostri volti; labbra sfiorano labbra e l’incantesimo si compie.
Un minuto che dura un secondo, per dar vita ad un fotogramma che durerà una vita intera.
Mi abbandona e si dirige verso la macchina scura; apre lo sportello posteriore, entra, indugia nel richiuderlo dietro di se ma, alla fine, compie il gesto simbolo del nostro addio.
L’auto riparte incurante dei nostri stati d’animo e si confonde tra le centinaia di gabbie metalliche che sfrecciano indifferenti sulla strada.
Di Lei mi rimangono pagine da leggere e pagine da scrivere, mi rimane una voce che è già così eterea, mi rimane un’immagine da incorniciare al centro della mia anima.

(2009)

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