giovedì 29 maggio 2014

Domani è un'altra notte

Non smette di piovere e questo mi tranquillizza.
Il panorama che si presenta, oltre i vetri puntellati di gocce sporche, è quello che desideravo per oggi. Non avrei mai potuto sopportare un’altra giornata di sole, colori e profumi straripanti allegria.
Oggi, come ieri e come i giorni precedenti, sono grigio e grigio deve essere il mondo.

Mentre escogito un finale repentino e indolore alla mia storia, l’ennesimo mozzicone si infilza nel cumulo di cenere che si erge dal mio vecchio e caro bicchiere di cristallo, costellato di decine di incrinature, simbolismo perfetto di milioni di secondi consumati e consunti nell’arco della mia esistenza.

Indolore. È questa la parola che ricorre e si rincorre tra i miei pensieri.
Lasciare il segno non è mai stata una mia prerogativa, in particolar modo se il farlo comporti un incontro ravvicinato con la sofferenza.
Se fossimo in un paese realmente libero le alternative abbonderebbero, tuttavia sono costretto a scervellarmi nel richiamare l’intuizione della vita - ecco l’ennesimo paradosso - proprio nel momento in cui devo… voglio porre fine ad essa.

“La nebbia si sta dileguando.” penso, e ho il timore che tutto ciò abbia un significato preciso: un conto alla rovescia verso il termine del tempo utile.
Come potrebbe mai, un uomo, ammazzarsi sotto un sole splendente?!

Sbatto un cd nel lettore e chiedo aiuto a Ian; chi meglio di lui saprebbe consigliarmi in una scelta così ardua?
La selezione 'random' mi sembra la più appropriata e decido di attendere gli eventi che, in questo caso, si identificheranno con una parola, netta, greve ed indelebile, ineluttabile.

Di nuovo quel dolore all’addome; porto le mani a proteggere il lembo di pelle lancinante in un curioso e quanto mai inappropriato istinto di sopravvivenza.
I timpani vibrano dall’interno e la voce di mia madre torna ad empire la mia cassa cranica.
Se fosse qui, davanti a me, ben ritta e sostenuta dal suo orgoglio d’altri tempi, mi prenderebbe a ceffoni nel leggere l’orda di malsani pensieri che si propagano per la stanza.
Quello che però non potrebbe sapere, è che ho già desistito da tempo, rinunciando alla felicità in nome di un ben più rilassante nulla.

Ieri, poco dopo aver preso la decisione forse più importante della mia vita, ho cominciato a pensare al passato e ai volti che si sono alternati frenetici davanti ai miei occhi.
Ho pensato alle voci, agli odori, alle mani.
Ho rivisto ed assaporato la pellicola sgranata che a fatica si srotolava dalla bobina e ho scoperto che, in fin dei conti, il mio è un gesto di assoluta follia; uno di quei raptus che un plotone di psichiatri pluridecorati oserebbe associare, senza alcuna difficoltà, ad una lapalissiana psiconevrosi ossessiva, nella quale il mio io distruttivo prende il sopravvento in via definitiva.
Ho dovuto sorbirmi queste stronzate per anni ed io, in questo preciso momento, sono la dimostrazione pratica che i dottori veri sono di gran lunga più affidabili di quei cantastorie ebbri di paroloni senza significato.

Stavo pensando di fotografarmi durante l’atto, in modo da lasciare ai posteri un’immagine inequivocabile, che possa essere pubblicata a pagina 5712 di un qualsiasi libro di psichiatria. Ovviamente la didascalia dovrebbe recitare: ESPERIMENTO FALLITO.
Per fare questo, però, devo trovare un metodo consono e, a questo punto, spettacolare; chi sarebbe interessato all’immagine di un uomo a testa china sul tavolo, senza il minimo accenno di globuli rossi a profusione?
Mi connetto nuovamente alla rete in cerca di alternative autolesioniste e mi imbatto in un sito singolare, dove qualche pazzo - ma infinitamente meno pazzo del sottoscritto - illustra le varie opzioni di scelta, a mo’ di catalogo:

SUICIDIO CON UN VELENO FATTO IN CASA
Per prima cosa dovete farvi il veleno, è molto semplice: prendete un contenitore di rame, lo riempite di piombini che ricoprirete con dell'aceto, chiudete bene il contenitore di rame e lasciatelo riposare per almeno due settimane, poi vi preparerete un'insalata che condirete con l'aceto avvelenato e dopo un po' morirete.

Le due settimane e il “dopo un po’” mi spronano a passare oltre.


Se lavorate in un ospedale potete rubare dei barbiturici o del veleno come cianuro, arsenico, stricnina ecc. e mangiarlo. Se usate i barbiturici, per piacere non avvertite qualcuno quando li prendete, questo perché se lo sa qualcuno avverte il 118 o enti analoghi i quali vi vengono a prendere dove vi trovate, vi fanno una lavanda gastrica, vi salvano e voi oltre a non essere morti vi fate pure la figura di merda del pazzo che si vuole suicidare!!!

Se penso a tutti i pomeriggi sprecati a contare le mattonelle del policlinico mi assale una rabbia incontrollabile.


Se volete soffrire un po' è meglio la corrente elettrica, è molto semplice: dovete prima disattivare il salvavita poi o vi leccate le dita e le mettete nella presa, starete lì fino a quando sarete totalmente carbonizzati. Oppure riempite la vasca da bagno di acqua, vi mettete dentro e buttate nella vasca un phon acceso. Dovreste morire in pochi secondi.

Certo, il pensiero di non possedere un salvavita rende tutto ciò alquanto stimolante; tuttavia l’odore di bruciato mi provoca nausea e, grazie alla mia sfortuna congenita, sfilerei le dita dalla presa prima di raggiungere il traguardo. Non solo sarei ancora di qua ma mi ritroverei ad imprecare dal dolore provocato da due dita arrostite.


SUICIDIO PER ASFISSIA (ANNEGAMENTO)
Potete anche imitare i pesci: vi fate legare mani e piedi, vi legate dei pesi sul corpo (l'ideale sono grosse pietre o piombi) e vi buttate in un lago, in un fiume, in mare eccetera.

Abitando in periferia mi vedo costretto a declinare verso altre possibilità.


Una tecnica "angelica" è quella di imitare gli uccelli. Vi potete buttare da qualsiasi cosa alta, come ponti, viadotti, grattacieli, palazzi, burroni, vette eccetera

Indubbiamente il metodo più affascinante ma dovrei trovare qualcuno disposto ad armeggiare con la mia macchina fotografica e dovrebbe essere uno bravo. Non mi accontenterei affatto di uno scatto a mezz’aria, senza arte né parte; pretenderei una sequenza di momenti più significativi del volo, fino al culmine dello schianto fragoroso e dell’effluvio ematico.
Spengo il pc sconsolato, nemmeno la tecnologia mi è venuta in soccorso.
Mi sdraio sul letto ad osservare il soffitto, nella speranza che scenda Dio dal cielo a darmi l’ispirazione.

Lo stereo passa in rassegna tutte le tracce del cd che, con infinito amore, avevo composto e dedicato a Lei, unico grande amore della mia vita. Lo stesso cd che mi aveva scagliato addosso al termine della nostra storia, ponendomi in elevato rischio di semi-cecità.

L’ultima nota riecheggia e rimbalza tra i muri bianco-smunto della stanza, fino a ricadere sulle mie palpebre che, un secondo dopo, si serrano e sigillano pesantissime.
Mentre la mente sta per oscurarsi ed il sonno prendere il sopravvento, un ultimo pensiero si anima e mi distrae dal dormiveglia:

“Giuro sulla mia vita che domani ci riprovo!”


(2008)

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