Di te ho un ricordo molto nitido in una notte afosa,
cominciata come tante altre e terminata come nessuna.
Mi ricordo il tuo sguardo vuoto e, al tempo stesso, ricolmo
di emozioni da dimenticare.
Mi ricordo le tue mani e le tue visioni fittizie; e la tua
vita, appena cominciata e già troppo profondamente consumata.
Mi ricordo cascate oniriche di petali di rosa.
Mi ricordo la luna e la sua luce strana che ti illuminava e
nascondeva.
Mi ricordo dei tuoi singhiozzi, della tua voce spaccata da
un incubo ricorrente e da un sogno che tardava ad arrivare.
Ricordo le tue parole trafiggermi e frantumarmi, mentre
cercavo di raccogliere pezzi di te e ricomporli con cura.
Lì, davanti a me, così lontana e vicina, come quando giocavi
con i tuoi sogni su quell'altalena arrugginita.
E io tentavo di esserci ma ero troppo distante, perché in
quel momento eri un'unica entità che si trascinava sola.
E ricordo di essermi dimenticato di me.
Mi ricordo la quiete, quando ti sei risvegliata in un sole banale
e mi hai guardato come se stessi guardando un altro.
Prima che ce ne rendessimo conto, tutto era già diventato un secondo scivolato via dalle nostre mani.
E abbiamo ripreso a respirare.
Dopo quella volta, ho capito che vivere la sofferenza di un altro
è la condanna più terribile e che nemmeno la morte potrà essere più lacerante.
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